Tutto è cominciato quel giorno. Natale 1982. O meglio, tutto è cominciato qualche mese prima, quando sono andato con mio padre a comprare un videoregistratore SABA ed ho visto (e sentito!) per la prima volta, sul televisore a fianco, NASL Soccer.
Avevo 11 anni, frequentavo la prima media. Già da qualche mese, come molti coetanei, lasciavo scie di bava sugli scaffali dei negozi di elettrodomestici (non esistevano ancora i reparti dedicati ai videogames, perciò le prime sparute consoles venivano offerte assieme a televisori monumentali e videoregistratori monolitici) guardando correre degli omini su e giù per un campo di calcio "virtuale". Omini, non barre verticali monocromatiche unidirezionali.
Certo, dopo Pong qualche progresso tecnico c'era stato, ma Atari - con la console VCS 2600, già oggetto di culto per noi ragazzini dai tempi in cui "si poteva giocare a Space Invaders nel salotto di casa" - non andava oltre qualche forma antropomorfa abbozzata. E comunque molto aiutata dalla fantasia del videogiocatore.
Ecco invece quella meraviglia. Uomini riconoscibili e fluidi, in policromia!
E "palloni da calcio rotondi, non quei quadrettoni che si vedono in giro" - come disse Corrado, commesso del negozio di casalinghi dove mi recavo in pellegrinaggio prefestivo con i miei genitori: sì, ma 329milalire, che a me bambino non dicevano nulla di fronte a cotanta meraviglia, ponevano un ostacolo apparentemente insormontabile fra me e i sogni tecnologici e variopinti. Ma si avvicinava il Natale, un Natale che sarebbe divenuto uno dei più memorabili della mia infanzia.
Oggi i ragazzini sorridono. C'é chi è passato dall'esordio della Playstation, in quel caldo 1995. Chi si è emozionato con il Nintendo64, macchina delle meraviglie. Chi si è vantato di possedere la PS2 e chi si trastullava in metrò con la PSP. C'é chi si è chiesto quali limiti avesse la potenza di calcolo all'esordio di Xbox 360 e dove potessimo arrivare con la PS3. O chi ha assaporato la qualità e il coinvolgimento del "gioco totale" con il touch-screen del Nintendo DS o con l'interattività del Wii.
Ma c'è una generazione di trenta-quarantenni, gli stessi ragazzini protagonisti dei tanto vituperati anni Ottanta, che era capace realmente di sognare ad occhi aperti per 8 colori e un suono abbozzato e di scatenare battaglie talebane fra opposte fazioni (Atari/Intellivision, Sinclair ZX Spectrum/Commodore 64) che infiammavano le lunghe giornate scolastiche e quasi rompevano amicizie, da far impallidire i contemporanei fanboys Nintendo/Sony/Microsoft più accaniti.
E' possibile trascorrere i mesi estivi (leggasi tutte le vacanze scolastiche, almeno 5 ore al giorno) di fronte ad un arciere immerso in nebbiosi tunnel - Advanced Dungeons & Dragons - seduti a terra di fronte al televisore e dovendo spesso risintonizzare il canale 36? E' possibile rovinarsi le falangi dei pollici nel premere per settimane di seguito i tasti direzionali di pseudo-frisbees - Tron Deadly Discs - perdendo completamente il senso del tempo e non valutando un titolo per la sua "longevità", dal momento che un gioco veniva giocato comunque sino allo sfinimento del proprietario o della cartuccia (diverse volte ho dovuto resettare la console nel mezzo di una partita a causa del surriscaldamento)? E' possibile giocare per tanto tempo ad un titolo frenetico e ipnotico - Astrosmash - sino ad avere le allucinazioni e sentir rimbombare il ritmo sincopato della colonna sonora anche nel silenzio della notte? Io, undicenne, avrei risposto fieramente "sì".
Oggi si discute di quanto siano realistici i titoli di Microsoft e/o di Sony, di fotorealismo, di fluidità e di alta definizione. C'è stato un tempo in cui l'unico indizio, l'unico riferimento a cosa si riferissero quelle forme elettroniche abbozzate e visualizzate malamente sul nostro televisore (spesso in bianco e nero) era il disegno - generoso e ottimista - posto sul fronte della confezione. La console mostrava un ottagono giallo, con due macchie nere al centro: noi vedevamo un mostro interstellare, un centravanti brasiliano, una batteria antiaerea, un aggressore degli abissi... a seconda del titolo, della nostra ispirazione o di cosa volessero suggerirci quei primi, geniali programmatori che con poche righe di codice, alcuni kilobites e molta fantasia, hanno reso la nostra adolescenza così... "unica".
Avevo 11 anni, frequentavo la prima media. Già da qualche mese, come molti coetanei, lasciavo scie di bava sugli scaffali dei negozi di elettrodomestici (non esistevano ancora i reparti dedicati ai videogames, perciò le prime sparute consoles venivano offerte assieme a televisori monumentali e videoregistratori monolitici) guardando correre degli omini su e giù per un campo di calcio "virtuale". Omini, non barre verticali monocromatiche unidirezionali.
Certo, dopo Pong qualche progresso tecnico c'era stato, ma Atari - con la console VCS 2600, già oggetto di culto per noi ragazzini dai tempi in cui "si poteva giocare a Space Invaders nel salotto di casa" - non andava oltre qualche forma antropomorfa abbozzata. E comunque molto aiutata dalla fantasia del videogiocatore.
Ecco invece quella meraviglia. Uomini riconoscibili e fluidi, in policromia!
E "palloni da calcio rotondi, non quei quadrettoni che si vedono in giro" - come disse Corrado, commesso del negozio di casalinghi dove mi recavo in pellegrinaggio prefestivo con i miei genitori: sì, ma 329milalire, che a me bambino non dicevano nulla di fronte a cotanta meraviglia, ponevano un ostacolo apparentemente insormontabile fra me e i sogni tecnologici e variopinti. Ma si avvicinava il Natale, un Natale che sarebbe divenuto uno dei più memorabili della mia infanzia.
Oggi i ragazzini sorridono. C'é chi è passato dall'esordio della Playstation, in quel caldo 1995. Chi si è emozionato con il Nintendo64, macchina delle meraviglie. Chi si è vantato di possedere la PS2 e chi si trastullava in metrò con la PSP. C'é chi si è chiesto quali limiti avesse la potenza di calcolo all'esordio di Xbox 360 e dove potessimo arrivare con la PS3. O chi ha assaporato la qualità e il coinvolgimento del "gioco totale" con il touch-screen del Nintendo DS o con l'interattività del Wii.
Ma c'è una generazione di trenta-quarantenni, gli stessi ragazzini protagonisti dei tanto vituperati anni Ottanta, che era capace realmente di sognare ad occhi aperti per 8 colori e un suono abbozzato e di scatenare battaglie talebane fra opposte fazioni (Atari/Intellivision, Sinclair ZX Spectrum/Commodore 64) che infiammavano le lunghe giornate scolastiche e quasi rompevano amicizie, da far impallidire i contemporanei fanboys Nintendo/Sony/Microsoft più accaniti.
E' possibile trascorrere i mesi estivi (leggasi tutte le vacanze scolastiche, almeno 5 ore al giorno) di fronte ad un arciere immerso in nebbiosi tunnel - Advanced Dungeons & Dragons - seduti a terra di fronte al televisore e dovendo spesso risintonizzare il canale 36? E' possibile rovinarsi le falangi dei pollici nel premere per settimane di seguito i tasti direzionali di pseudo-frisbees - Tron Deadly Discs - perdendo completamente il senso del tempo e non valutando un titolo per la sua "longevità", dal momento che un gioco veniva giocato comunque sino allo sfinimento del proprietario o della cartuccia (diverse volte ho dovuto resettare la console nel mezzo di una partita a causa del surriscaldamento)? E' possibile giocare per tanto tempo ad un titolo frenetico e ipnotico - Astrosmash - sino ad avere le allucinazioni e sentir rimbombare il ritmo sincopato della colonna sonora anche nel silenzio della notte? Io, undicenne, avrei risposto fieramente "sì".
Oggi si discute di quanto siano realistici i titoli di Microsoft e/o di Sony, di fotorealismo, di fluidità e di alta definizione. C'è stato un tempo in cui l'unico indizio, l'unico riferimento a cosa si riferissero quelle forme elettroniche abbozzate e visualizzate malamente sul nostro televisore (spesso in bianco e nero) era il disegno - generoso e ottimista - posto sul fronte della confezione. La console mostrava un ottagono giallo, con due macchie nere al centro: noi vedevamo un mostro interstellare, un centravanti brasiliano, una batteria antiaerea, un aggressore degli abissi... a seconda del titolo, della nostra ispirazione o di cosa volessero suggerirci quei primi, geniali programmatori che con poche righe di codice, alcuni kilobites e molta fantasia, hanno reso la nostra adolescenza così... "unica".
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